martedì 21 luglio 2015

L'esorcista mostruoso




Ho da poco letto il romanzo L’esorcista. Lo so, non averlo letto prima è una mancanza piuttosto grave, per uno che legge tanto horror e ne scrive pure. Almeno però ho rimediato, complice il prezzo molto basso che ha l’ebook su Amazon, solo 1,99. Il film ovviamente, ben più famoso, l’avevo visto anni fa.

Faccio alcune considerazioni. 

Il film fa più paura del libro, questo è sicuro. Molto è dovuto al semplice fatto che un film in generale è in grado di far più paura di un libro, per via delle atmosfere che riesce a creare, grazie anche alla stimolazione di più sensi. Credo inoltre che il film sia, come spesso accade, meno dispersivo, portando lo spettatore dritto alla paura, senza distrazioni. Ciao, mi chiamo Regan, ho dodici anni e sono posseduta dal demonio: adesso vi terrorizzo.

Dall’altra parte il libro è più dettagliato. I personaggi sono più definiti, su tutti il poliziotto, che nel film resta onestamente sullo sfondo, mentre nel libro è una figura in certi casi perfino invadente e tendente all’odioso. La parte sulle procedure teoriche dell’esorcismo sono spiegate molto bene, mentre nel film se ne dà una breve infarinatura. Insomma, nel libro c’è più roba. La scena in assoluto più terrificante del film è quando Karras entra nella stanza e trova Merrin stecchito. Il demonio, che s’è slegato come avrebbe potuto fare in qualsiasi momento, sta lì appoggiato alla sponda le letto, e se la ridacchia sotto le labbra sgretolate. Nel libro la scena è più debole, ha meno impatto, per forza di cose si perde un po’ via nelle descrizioni. 

Dalla sua però il libro ha un elemento quasi assente nel film, che è la sottile logica ingannevole che usa il demonio. Lui non fa nulla che possa tradire la sua reale presenza. Mai, ma proprio mai, Karras potrà dire sì, li dentro c’è il diavolo. Non glielo fornisce il diavolo, questo elemento. E lo fa apposta. Dalle pagine emerge bene, e crea un senso di angoscia notevole, perchè tutti lo sanno, che in realtà è il diavolo, ma non si può dimostrare, sfugge, ci frega sempre. Nel film questo aspetto manca. C’è solo qualche accenno, messo lì, che da solo non basta a far capire e men che meno a dare quella sensazione claustrofobia.

Quindi il film fa più paura del libro, ma è anche migliore? No, credo si attestino entrambi sullo stesso livello. Devo ammettere però, che il film ha raggiunto uno stadio di cult assoluto che il romanzo non raggiungerà mai. 

Una cosa curiosa è il titolo. Sicuramente di proposito l'autore ha posto l’attenzione su un elemento secondario, anche se importante. Sì, il film è, estremizzando, un lungo racconto di un esorcismo. Il titolo però, non è “L’esorcismo” bensì “L’esorcista”. Mi ha sempre inquietato, questa cosa.

A tal proposito.

Quando avevo sette o otto anni, non avendo per fortuna ancora visto il film, credevo che l’esorcista fosse un mostro. Sì, un mostro, tipo quelli di Alien per intenderci, un essere mostruoso che faceva fuori la gente. Chissà dove, avevo avvertito qualche diceria, ovviamente roba terrificante, e m’ero fatto quell’idea. Il termine esorcista era troppo esotico, ignoto, per poter essere altro che una creatura tremenda. In più, ricordo un episodio incredibile. Di fronte alle scuole elementari, alla mattina, prima d’entrare, dove i bambini (adesso dico bambini, ma all’epoca non eravamo di certo bambini) un mio compagno, mentre tutti gli altri facevano le solite cose, (urlare, correre con in spalla le cartelle, cadere, menarsi) raccontò d’aver visto L’esorcista alla televisione, che a quanto pareva avevano dato qualche sera prima. “L’avete visto voi?” chiese “avete visto quando passa quello di corsa? E vooom, lui gli stacca la testa?” Mosse pure il braccio, di scatto, con la mano di taglio, per simulare qualcosa che mozzava una testa. Zac! Dio, che brividi, l’esorcista mozza anche le teste. Per anni poi ho continuato a credere che l’esorcista fosse un mostro inconcepibile.  

Chissà che cazzo di film aveva visto quel bambino, o cosa aveva sentito per inventarsi quell’assurdità. Chissà. 

martedì 14 luglio 2015

Recensioni agghiaccianti: come ti affosso il racconto in due righe



Le recensioni negative fanno parte della vita dello scrittore. Lo sanno tutti. Ogni scrittore, dal migliore del mondo al peggiore, sa che le recensioni negative ci saranno sempre, per lui come per gli altri. Nessun problema. E meno male, perchè altrimenti se ci fossero solo recensioni positive sarebbe tutto più noioso.  Nonostante questo però, ogni volta che si riceve una recensione negativa girano le palle. È vero o no? È vero, girano le palle. Bisogna però fare delle distinzioni. Le recensioni negative non sono tutte uguali. Ci sono quelle inutili e che lasciano il tempo che trovano, del tipo: questo libro non mi è piaciuto per niente, lo sconsiglio. Ci sono quelle assurde, del tipo: questo libro di autore esordiente auto pubblicato a 0,99 che parla di mostri-vampiri è molto più scarso di Io sono leggenda, lo sconsiglio. Ci sono quelle pignole/snob/nauseanti, del tipo: l’dea era buona, ma le api non iniziano la loro attività prima del mese di aprile, almeno che non ci sia una primavera molto calda, perciò, visto che si dice in modo chiaro che l’aria era ancora fresca, è impossibile che il giardiniere venga massacrato dalle api assassine in marzo, e tra l’altro un pesticida mutageno del tipo descritto è inverosimile, lo sconsiglio.Poi ci sono anche quelle costruttive, dal quale l’autore può ricavare informazioni utili, del tipo: racconto piacevole, ma troppo prolisso nelle descrizioni, ho fatto fatica a terminarlo, che noia, dovevo schiaffeggiarmi mentre leggevo per non dormire.L’ultima bella recensione negativa che ho ricevuto è per il racconto Montagne di carne. Eccola, consiglio di cliccare sull'immagine per leggerla meglio.


Vi piace? A me sì.
Prima cosa. Non è così negativa come la stelletta da sola può far pensare. Intanto mi son preso un bel complimento, e sì che l’autore sa scrivere. Poi il contenuto accidentalmente obbrobrioso, molto bene, visto che è un effetto voluto, vuol dire che ho centrato l’obbiettivo. Lo consiglio a chi vuol leggere qualcosa di horror senza molto senso, be’, che liberazione, chi cazzo lo vuole il senso? L’importante è leggere roba pazzesca, che cazzo ce ne frega del resto? Ci sono storie che partono da lontano, costruite alla perfezione, dove vengono tessute le trame e tirati tutti i fili e sono ottime storie, e ci sono storie invece che...Bam! Ti sbattono in mezzo a una rissa e ne vieni fuori dopo aver preso qualche calcio nei denti, e possono essere storie altrettanto ottime. Montagne di carne è di questo tipo, più che non avere senso. Non ho trovato nessuna morale ne spessore nella descrizione dei personaggi, Oh, cara la mia Aissela ci hai preso di nuovo, la morale era l’ultima cosa che avevo in mente mentre scrivevo il racconto, e lo spessore dei personaggi anche. Adesso non cercherò di convincervi che lo spessore dei personaggi non serve, o non è positivo. No. Ma serve dove serve, e qui non serve, fidatevi. 
Questa recensione da una stella quindi è piuttosto particolare, in quanto è si molto negativa, ma è anche azzeccata. Dovrei preoccuparmi?
No, perchè c’è di peggio. Vediamo quest’altra, inflitta al racconto Zona Z di Alessandro Girola.


Tralasciamo il fatto che l’opera in questione è molto avvincente e ben scritta, a parer mio e  di molti altri, cosa si può dire? Ognuno dice e fa quello che vuole, ma che senso ha una recensione del genere? Allora è meglio una del tipo inutile (vedi sopra), non fa danno e ottiene lo stesso l’unico risultato a cui deve mirare una recensione negativa, ossia far capire che al recensore il libro ha fatto cagare. Invece questa, dicendo che di fronte alle boiate viste e straviste ci si potrebbe anche tappare il naso ma al cospetto di errori grammaticali gravissimi e al fatto che l’autore non conosca l’italiano proprio no, mi pare che oltrepassi lo scopo che dovrebbe avere una recensione. Vi giuro, non mi sono accorto, ma se mi fossi accorto mentre leggevo del “un eco” anzichè “una eco”, avrei immediatamente smesso di leggere e avrei buttato il Kindle nel cesso. Probabilmente avrei smesso di leggere in assoluto, nella vita, traumatizzato. D’ora in poi starò più attento.
Di sicuro non rispetta le mie famosissime linee guida
La ciliegina: la tipa s’è fatta rimborsare i quasi due euro. Pazzesco.

Vediamone un’altra, di un autore leggermente più famoso. Si scorge il titolo scritto in piccolino.


Questa mi dà speranza, perchè vuol dire che c’è proprio in giro un po’ di tutto. Se spesso ci si lamenta della pochezza degli autori minori, c’è anche chi la pochezza a quanto pare la vorrebbe. 
Ma torniamo ai meno famosi. Ecco questa perla sul racconto Osmiza: orrore sul Carso.


Bella vero? Sono di questa opinione: se uno vuole dare libero sfogo al proprio delirio con una recensione può farlo, ma lo faccia dando una valutazione in stellette intermedia, tre, tanto per non incidere troppo. Perchè una stella? Qualcuno è in grado di interpretarla? A un ottimo racconto di un autore esordiente poi...Si prega di notare che ben tre persone hanno ritenuto utile questa delizia.
Quindi? Conclusioni? Nessuna conclusione, solo che il modo è bello perchè è vario.

martedì 7 luglio 2015

Chi è stufo degli zombi?


Ve lo dico subito, il titolo è provocatorio. In realtà il racconto che ho scritto non è un vero e proprio tentativo di cambiare qualcosa nel panorama zombiesco, di cercare d’essere originale. È piuttosto uno sguardo oltre il velo, attraverso le fette di salame, un po’ come se mi fossi messo gli occhiali di Essi vivono, ve lo ricordate il film di Carpenter? Però sì, questi grassoni ricordano in qualche modo gli zombi, specialmente quelli del film di Romero, dato che la storia è ambientata in un grosso centro commerciale. 

È un horror quindi? Certo, cosa se no? Come potrei abbandonare il mio genere preferito, l’unico tra l’altro con il quale si può riuscire a dare una descrizione verosimile del mondo? Attenzione però, è un horror in puro stile Banshee Miller, lo si intuisce già dalla copertina che vedete qui di fianco, non vi sembra? Perciò niente spiegazioni, niente mezze misure, niente rispetto per i canoni, se non, forse,  per prendere un po’ per il culo, così, in modo amichevole. Allora bene, se vi interessa sapere cosa succede in un centro commerciale pieno di Grassoni, leggete pure.

mercoledì 1 luglio 2015

Italia Vs Resto del mondo





In questi ultimi anni, visti i prezzi scandalosi che hanno raggiunto i libri, nuovi, usati, appena usciti che siano, ho preso l’abitudine di rileggere romanzi letti in passato. 
Gli ultimi due “ripescaggi” che ho fatto sono stati La città dei clown di Will Elliott e La pelle fredda di Albert Pinol, entrambi comperati all’uscita, sette o otto anni fa, con conseguente salasso.  
Be’, sapete una cosa? Sono due bellissimi romanzi. Sono entrambi horror anche se in modo molto diverso. Me li ricordavo belli e lo sono ancora.
Dopo aver finito le letture, ho controllato su Amazon cos’altro avessero scritto questi due autori. Cos’hanno scritto? Niente. Proprio niente. O meglio, hanno scritto altro, ma nulla di tradotto in italiano. E come mai? Semplice, perchè con i due romanzi sopracitati, diciamo d’esordio, non hanno avuto successo. Una recensione da una stelletta per La città dei clown e zero per La pelle fredda, giusto per confermare lo scarsissimo successo. 
Pazienza, mica tutti possono avere successo, peccato però, perchè sono romanzi molto validi.
Poi ho dato un’occhiata su Amazon.com, tanto per curiosità. 
The Pilo family circus, il romanzo di Elliott, ha quarantatre recensioni con una media di quattro stellette e mezza! E Cold skin trentuno, quattro stellette di media! 
Com’è possibile una cosa del genere?
Faccio qualche ipotesi.
I due romanzi fanno effettivamente schifo e gli utenti di lingua inglese non capiscono un cazzo?
I gusti degli utenti di lingua inglese sono diversi dai gusti degli utenti italiani e io ho i gusti simili ai primi? 
Un caso?
Gli utenti italiani, escluso me, non capiscono un cazzo?
Magari è vera qualcuna di queste ipotesi fatte qui sopra, però ho un’altra idea.
In Italia il mercato editoriale è statico come un pilone di cemento. La proposta editoriale invece è statica come un pilone di cemento. Si trova qualcosa che vende, bene, tutte le risorse, poche, vendono buttate lì e si va avanti dritti finchè la cosa che vende non la sopporta più nessuno. Poi ne salta fuori un’altra. 
In Italia i lettori esigenti sono pochi. I lettori che leggono di tutto, che cercano, che apprezzano, sono pochi. Sono tanti invece i lettori che hanno sabbia tra le pagine dei libri, prechè il vicino ha sbattuto l’asciugamano contro vento. Sono tanti i lettori che comprano e non leggono, che non hanno pretese, che s’accontentano del primo libro colorato in cima alla pila al supermercato. 
Questi elementi fanno sì che i libri vengano spinti sempre nella stessa direzione. Qualsiasi sia il contenuto, qualsiasi sia la storia, il libro viene spinto nel mucchio della roba che vende, viene spacciato per affine alla roba che vende, anche se non lo è, perchè altrimenti il lettore, al supermercato, scappa urlando e agitando le mani. 
Nell’unica recensione, una sola stella, della Città dei clown, l'unente sostiene che il libro sia una noia mortale, che non faccia paura per niente. È vero, il libro non fa particolarmente paura, ma, con sincerità, quanti horror esistono che leggendoli procurano vera paura? Il problema non è la paura, il problema è tutto il sistema che si usa per promuovere un un libro. Se è un thriller/horror deve sempre essere il più terrificante/spaventoso/disturbante mai pubblicato, deve ricordare Stephen King o qualche thrillerista del momento. In questo modo il lettore si aspetta sempre le stesse cose, se le trova è contento, altrimenti no.
Sulla copertina della Città dei clown ci sono belle in evidenza citazioni varie dove il romanzo viene associato a King, appunto, e a Lovecraft. Ecco, perfetto. Con King non centra niente, ma proprio niente. Con Lovecraft, mah, c’è qualche horror, se togliamo vampiri e zombie (neanche tutti magari), che non ha niente a che fare con Lovecraft? Allora bisogna dirlo ogni volta? Che poi uno s’aspetta antiche entità mostruose che emergono dagli abissi per divorare comunità costiere di inizio novecento. 
La città dei clown è un ottimo romanzo, fantasioso, veloce, che butta il lettore dentro una mischia senza troppi complimenti. E va preso così. Sarà un caso che sulla copertina dell’edizione anglofona non ci sia nessuna segnalazione di nessun genere?



La pelle fredda in Italia non ha nessuna recensione. Neppure la mia, perchè all’epoca il libro non l’avevo comperato su Amazon. 
Perchè? Mistero. 
È un romanzo dal sapore avventuroso. Sul risvolto sono menzionati Stevenson e Conrad, e vanno bene. È menzionato sapete anche chi? Lovecraft sì, ancora lui, tanto per cambiare, anche se qui è un po’ più pertinente. È una storia cupa, desolata, ossessionate, scritta molto bene, ma purtroppo da noi nessuno se l’è filata. Come mai? Perchè anche qui la storia non combacia con i canoni della roba che vende, e tra l’altro neanche il formato. Già, perchè un libro dev’essere lungo tra le trecentocinquata e le cinquecento pagine, per essere ok. Di meno, come in questo caso, da l’idea che non valga niente, di più...oh, non scherziamo, mi devo leggere per davvero sto mattone?
Insomma, per vendere di più si sacrifica la varietà. È come se l’editoria sia ormai una specie di monocoltura, come le piantagioni di mais che stanno soppiantando l’Amazzonia. E sapete cosa fanno le monocolture? Impoveriscono il terreno, lo rendono sempre più arido, esauriscono gli elementi, fino a farlo diventare un vero e proprio deserto.