martedì 9 giugno 2015

Io scrivo le parolacce



È giusto, quando si scrive, fare uso delle parolacce? Credo di sì. Io lo faccio. Raccontare una storia, realistica o fantastica che sia, vuol dire sempre raccontare la realtà, e la realtà è piena di parolacce. 
Fare uso abbondante di parolacce non è di certo una novità. Ci sono scrittori che hanno fatto del linguaggio scurrile una vera e propria bandiera, loro malgrado. Mi vengono in mente Bukowski o Irvine Welsh. Ma ce ne sono molti altri, chi più chi meno, Lansdale, King, non voglio stare qui a fare un elenco. Il cinema poi, da Tarantino in poi, ha sdoganato la scurrilità in modo definitivo. Perciò la parolaccia nel testo scritto non ha più nessun valore innovativo. La parolaccia fa semplicemente parte della vita reale che viene costantemente descritta nelle storie che si scrivono. Quindi va utilizzata. 
Spesso mi capita ancora di leggere espressioni come “cosa diavolo succede” o “dannato telefonino, non prende” quando un “che cazzo succede” o “sto cazzo di telefono non prende” sono molto più realistiche e appropriate. Certo, conta il contesto, ma io vorrei tanto sapere in quale contesto uno possa trovarsi a dover dire cosa diavolo succede. Piuttosto uno non dice niente. 
Per quel che riguarda i dialoghi non c’è scusa, se c’è l’imprecazione dev’essere per forza a suon di parolacce.
Se si parla invece di voce narrante allora la faccenda è un po’ diversa ma neanche tanto. Chi è il narratore? Non è uno che racconta? Va bene, nel caso del narratore onnisciente non è esplicitamente una persona fisica. Ma è pur sempre una voce figlia del tempo di cui narra, a parte eccezioni che devono essere specificate. Il narratore non è un gentiluomo dell’ottocento (ammesso che i gentiluomini dell’ottocento parlassero davvero come i gentiluomini dei romanzi dell’ottocento) ma è uno qualunque dell’epoca in cui è ambientata la storia. E allora? O si limita a narrare i fatti in modo distaccato, narratore esterno, allora non avrà mai occasione di dire niente di suo, oppure “parlerà” e allora le parolacce mi sa tanto che ci debbano scappare.
Non utilizzare le parolacce non è giusto. Confonde le carte. Quando uno scrive deve dire la verità, e se è logico aspettarsi le parolacce, le parolacce devono arrivare. 
Il problema è capire quando è logico aspettarsi le parolacce. È il problema sì, ma di facile risoluzione. Basta riprodurre esattamente le cose come sarebbero dal vero. Il mio personaggio quarantenne va in posta e l’impiegata quando è il suo turno gli chiede cosa deve fare? Lui risponderà che deve spedire una raccomandata. Una volta uscito però, dopo mezzora in fila dietro vecchi che tossivano, incontrando un suo amico alla domanda cosa fai qui? Risponderà che è andato a spedire una cazzo di raccomandata di merda. 
Insomma, le parolacce fanno parte della nostra cultura, e vanno messe, a testa alta, dove è giusto che ci siano. 





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