mercoledì 20 maggio 2015

Ho uno stile




Come scrittore ho uno stile. Piaccia o meno ce l’ho. Qui di fianco potete ammirare le copertine delle mie prime tre pubblicazioni. Qualcuno può negare che ci sia un certo stile?  Qui sotto invece (anche da parte in realtà) potete vedere la copertina della mia ultima fatica (il romanzo Prega il tuo dio, in offerta GRATUITA su Amazon). Insomma c’è una certa coerenza nelle quattro copertine, uno stile appunto. 


Anche le storie che scrivo hanno tutte un certo stile. 
Prima di tutto sono storie fantastiche, nel senso che strabordano sempre dalla realtà. Poi non mi piace ingabbiarle in un genere specifico, anche perchè, ad essere sincero, non saprei in quale. Certo, nello store sono classificate come horror, thriller, avventura, roba così, ma mi vanto del fatto che nessuna di queste categorie rispecchi la vera identità delle mie storie.
Sono storie scritte per intrattenere, divertire, di sicuro non sono scritte per insegnare qualcosa. Nelle mie storie non c’è spazio per paroloni, gente che parla come i foglietti illustrativi delle medicine oppure che si “corica”, personaggi che si svegliano di “soprassalto”, cuori che hanno “sussulti” e neanche pignolerie varie. Nelle mie storie ci sono le storie. Questo è il mio stile.  
Certo poi, se non vi interessa sapere cosa fa una pastora sola in un alpeggio, una pastora giovane e sexy, quando viene aggredita da altri pastori folli e pieni di muscoli, non ve ne frega niente di sapere cosa ci fa la Madonnina del duomo di Milano, in giro per le strade della città, di notte, incazzata nera, o com’è possibile che un sanguinario essere nero sorto dall’immondizia, faccia fuori chi gli capita a tiro sodomizzandolo, be’, probabilmente il mio stile non fa per voi. 

martedì 12 maggio 2015

Game over




Il telefonino sta piano piano uccidendo il videogioco. Mi spiace ma è così. Lo odio, il telefonino, perchè non sai mai dove tenerlo, in tasca da fastidio, è duro, devi sempre guardare se t’hanno chiamato, non puoi dire che non c’eri, e poi ti fa venire il tumore. Sta cosa del tumore però valeva per i modelli di qualche anno fa. Adesso non ne parla più nessuno, del fatto del tumore, dev’essere perchè i nuovi modelli non sono più pericolosi, sì, dev’essere così. Altrimenti avrebbero fermato le vendite, non vi pare? 

In più adesso odio il telefonino perchè sta uccidendo il videogioco, arte sottovalutata che amo da sempre.
È andata così.
Una volta c’erano i videogiochi. E facevano cagare. Erano delle schermate nere con qualche quadrettino colorato che si spostava e dei rumori tipo scherzo di carnevale. 
Poi arrivò il Commodore 64 e tutti iniziarono a passare le ore davanti allo schermo che cambiava colore rischiando crisi epilettiche aspettando che si caricasse la cassetta.
Poi fu la luce. Il Sega Master System si stagliò a levante come il monolite di 2001 Odissea nello spazio, orizzontale però, e tutti iniziarono a pestare per terra con femori e scapole urlando all’impazzata. Una nuova era. L’alba del videogioco. 
Per anni e anni i giochi si sono susseguiti uno meglio dell’altro, in qualche caso l’altro restava meglio dell’uno, devo dirlo per correttezza, e tutti i ragazzini hanno ammaccato i loro polpastrelli sui pad e si sono pinzati la pelle delle mani con le leve dei joystick. I mouse si sa, non procurano nessun tipo di lesione. 
Un giorno però, dopo che la gloria delle consolle giapponesi era ormai scomparsa da tempo insieme al Sega Mega Drive, e il monopolio di nicchia era rimasto per anni nelle mani di Amiga e Pc, dando alla luce capolavori ineguagliabili, e anche qualche schifezza inguardabile, un secondo monolite sì profilò all’orizzonte. Grigio, questa volta. Altri femori e altre scapole furono fracassate in terra. L’alba dell'ultima era.  
L’ascesa della più incisiva e totale tra le console della storia fu inarrestabile. La Play Station entrò in tutte le case, una scatoletta leggerina con uno sporlellino che faceva ridere, e, a parte all’inizio, economica. 
Niente fu come prima. 
Montagne di soldi iniziarono a crescere e le tasche si riempirono. Allora si fecero tasche sempre più grandi per montagne sempre più alte. 
I giochi, piano piano, senza che nessuno se ne accorgesse iniziarono a diventare di più e più facili. Sempre di più, sempre più facili e sempre più uguali. Quando finalmente il monolite divenne verticale(opzionale) e nero, fatto come dio comanda, non ci fu più niente da fare. Le tasche divennero elastiche, così da potersi allargare a piacimento e in modo naturale, che cambiarle sempre era una rottura di palle, e le montagne sempre più alte. 
In cambio però, il monolite nero e verticale(opzionale) diede anche tanta di quelle potenza da permette ad alcuni eroi di concepire giochi immensi e innovativi. Per un istante il mondo rimase così estasiato di fronte a una botte talmente piena e una moglie talmente ubriaca, che corse a comperare un telefonino. E da quel momento il mondo dei video giocatori fu come morto.
Il telefonino, subdolo, si infilò pian piano dentro le vite, vibrante e lampeggiante, preparando il terreno per la resa dei conti finale. Modificò il linguaggio. Modificò le scuse per i ritardi. Modificò i metodi d’approccio. Modificò l’ansia dei genitori. E diventò indispensabile. 
Intanto il dominio monolitico Sony venne spaccato da un altro monolite, tendente al bianco-verde. I giochi raddoppiarono, e così le tasche da riempire e le montagne di soldi da alzare. Raddoppiò anche la facilità dei giochi, nel tentativo di racimolare anche l’ultima possibile categoria di fruitori: i non vedenti. 
Poi, la fine. Lo smartphone. Gli smartphone iniziarono a luccicare, lucidi, piatti, sottili. I telefonini diventarono di colpo talmente brutti e poco alla moda che si ruppero o gli si esaurì la batteria. All’inizio tutti gli smartphone mostravano sullo schermo piatto ad alta definizione solo una spirale bianca e nera in rotazione. Dopo iniziò la pioggia. Dal cielo caddero milioni di giochini idioti e talmente senza senso che anche cani e gatti vollero uno smartphone per provarli con le loro zampe. Continuarono a cadere, ininterrottamente, e, colpo di grazia, gratis, oppure a 0,99. 
Come mosconi che si sollevano dagli escrementi al passaggio, tutti i videogiocatori volarono via, sotto la pioggia, tenendo i loro smartpohone come secchi, raccogliendo più roba possibile. 
Tutto il resto collassò.  E cari miei, ciao ciao videogame.
    



martedì 5 maggio 2015

Il prezzo del libro



Non è di certo una novità, ma ogni tanto capita di riflettere su qualcosa che si ha sempre davanti agli occhi e che proprio per questo diventa accettabile per definizione. I libri costano cari. Molto cari. Troppo. 
Ci si lamenta che la gente legge poco (vero), che l’editoria è in crisi (vero), che è colpa dei social network (vero), che le nuove generazioni non hanno voglia di faticare (vero), che la proposta editoriale è sempre più piatta (vero), che Amazon ammazza la cultura (falso), che il self publishing è dannoso (falso), ma avete presente cosa costa un libro?
Che cosa vuol dire leggere, nel senso in cui si intende quando si dice che la gente non legge? Vuol dire essere attirati da un libro, per qualsiasi motivo, aprirlo, iniziare a leggerlo, appassionarcisi, finirlo, cercarne un altro, appassionarsi anche  a quello, passare ancora a un altro, cercarne di simili, leggerli e così via. Quanto si spende a fare tutto questo? Una barca di soldi.
Il problema del costo del libro non è più un problema morale, è diventato un problema pratico. Semplicemente per molti non è più possibile comperarsi tutti i libri che vorrebbero leggere. Per me è così. 
Certo, leggere un Oscar Mondadori al mese è ancora possibile per molte persone, ma per un lettore più esigente, che magari gli Oscar, otto/novecento, li ha già letti praticamente tutti, che quando gira per le librerie guarda con un misto di gioia e nostalgia le copertine di quei capolavori, desideroso di rivivere l’emozione di un acquisto come quello, fatto anni prima, la situazione è più complicata. 
Leggere autori che piacciono porta a conoscerne altri, che si vogliono scoprire, che magari non ci sono in edizione economica, che magari sono fuori catalogo e vanno presi usati. Quando si innesca il meccanismo di ricerca/scoperta è difficile fermarlo. E se si segue la direzione giusta la lettura diventa ancora più vorace, si corre, si vuole leggere sempre di più. 
Fare questo, che credo sia la vera strada del lettore, costa un patrimonio. 
Le prime edizioni in brossura di libri in uscita hanno prezzi vergognosi. Se uno non è miliardario con due o tre di quelli s’è giocato il budget mensile. I tascabili costano meno, ma se sono prime uscite mica poi tanto. Media e piccola editoria sfornano romanzi d’autori sconosciuti a prezzi imbarazzanti. Spesso mi avventuro nel limbo di questa editoria,  e il risultato è sempre simile: un libro magari buono, che si legge in qualche ora, alla modica cifra di sedici euro. Ma sì, dai, cosa sono duecento al mese? 
Gli ebook, dal punto di vista economico, sono una presa per il culo. Oh, l’ho detto. Col il mio bel Kindle sarei felicissimo di leggerne a bizzeffe, se costassero quello che valgono. E invece devo stare attento anche lì. La versione cartacea costa talmente cara che la versione digitale può permettersi di costare come, se non di più, un tascabile. A parte qualche rara offerta, i prezzi sono sempre molto alti, e va bene che a contare è la storia, ma un ebook e resta sempre un banale file, con tutte le carenze di fascino che sappiamo, che non si può rivendere, e tra l’altro, tra un po’ di anni chi mi garantisce funzioni ancora? Chi mi garantisce che l’e-reader del momento leggerà ancora il mio vecchio file?  
Alla presa per il culo contribuisce anche il fatto che gli editori non sfruttano le potenzialità del digitale. Centinaia di titoli dimenticati, centinaia di autori dimenticati, che sarebbe possibile far ritornare in versione digitale senza grosse spese. Questo viene fatto? No. L’ebook esiste solo come alternativa ad un titolo già presente in cartaceo o come nuova uscita. 
Si può ripiegare sui libri usati, di solito venduti a metà prezzo, ed è scandaloso come mi senta quando trovo magari il titolo che cercavo a nove/dieci euro, perchè nuovo costava diciotto/venti, più spese di spedizione. Già, perchè ci sono le spese di spedizione. Se i grandi store online le omettono, non vendono però roba usata direttamente, così che si compra sempre da rivenditori minori che invece non possono affatto omettere. 
Si può leggere autori auto pubblicati, a prezzi per una volta veramente bassi, ma, anche se la roba buona c’è, non è tantissima, bisogna cercare, provare, e poi si finisce sempre per scoprire qualche autore pazzesco che ha ispirato qualcuno, e per quello i soldi bisogna cacciarli fuori.
Una cosa molto brutta è dover indirizzare le proprie letture verso i prezzi più bassi. Sempre più spesso mi capita di dover rinunciare a leggere qualcosa perchè troppo cara, così da dover rimandare, dover deviare su altro, che non è quello che sentivo di volere. Brutto, molto brutto.
Non c’è molto da fare, se anche in una situazione come quella attuale, di carenza di lettori e di vendite, gli editori tengono i prezzi tanto alti, di speranza ne vedo poca. L’unica resta rileggere sempre più spesso libri già letti, magari molto tempo fa. Di sicuro quelli sono belli e sono gratis.